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Te Deum laudamus per la spina conficcata nel mio fianco

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Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 29 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti) e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2016 Tempi ospita i contributi di Benedict Nivakoff, Alex Schwazer, Rone al-Sabty, Ilda Casati, Luigi Amicone, Siobhan Nash-Marshall, Tiziana Peritore, Therese Kang Mi-jin, Anba Macarius, Roberto Perrone, Pier Giacomo Ghirardini, Farhad Bitani, Maurizio Bezzi, Renato Farina, Pippo Corigliano, padre Aldo Trento, Mauro Grimoldi. Il prossimo numero di Tempi sarà in edicola da giovedì 12 gennaio 2017.

Il Signore ti prende attraverso l’amore o attraverso il dolore. Guardando la mia vita, direi che mi ha preso attraverso ambedeue le cose. Quest’anno in particolare su entrambi i binari: l’amore dei miei figli che formano parte di questa “grande opera di Dio”, come l’ha definita papa Francesco, e il dolore fisico di una spondilite che ha bloccato il 50 per cento della mia libertà di movimento.

È una battaglia quotidiana fra il dolore e l’amore, fra il guardare il mio ombelico come la stessa malattia mi spinge a fare, o l’alzare la testa, lo sguardo, come cerca di educarmi a fare il fisioterapista. Guardare in alto e sentirmi avvolto dal mistero che non è qualcosa di indefinito, ma un Tu che è entrato nella storia e mi chiama per nome in ogni istante del giorno, sia attraverso l’amore di chi vive con me, sia attraverso il dolore che mi rimanda a Gesù crocifisso.

Per il mondo il dolore è una maledizione, ma per chi è stato afferrato da Cristo è una grazia. Non lo dico a denti stretti o perché sono masochista (che grazia la salute psichica e fisica!), ma perché sperimento la verità delle parole di san Paolo: «Per ben tre volte ho chiesto a Gesù che mi togliesse la spina conficcata nel mio fianco, ma Lui mi rispose: “Ti basta la mia grazia”». E ancora: «Dio non ci dà mai un peso superiore alle nostre forze… per questo quando sono debole sono forte per Cristo».

È di questa esperienza che, giunto alla fine del 2016, voglio ringraziare il Signore e la sua Santissima Madre.
Certamente non sono mancati i buchi neri, l’assenza totale di emozioni “positive” nell’orazione dove l’aridità mi accompagna da anni; ma in tutto questo ho imparato l’essenza della fede che è il riconoscimento di una Presenza che si rivela dentro ogni circostanza in cui sono chiamato a vivere. La malattia è la modalità con cui il Mistero si fa carne nella mia vita, ieri quella psichica e oggi quella fisica.

Durante tutto l’anno la mia libertà ha potuto verificare la convenienza e la ragionevolezza di questa posizione umana per cui ciò che potrebbe essere un ostacolo a questo sguardo al Mistero diventa un trampolino, una potente risorsa umana.

Ringrazio don Julián Carrón che con la sua parola, la sua testimonianza, ha accompagnato e sostenuto la mia libertà nel riconoscere le impronte del Mistero nella mia vita. Ciò di cui abbiamo estremo bisogno è di qualcuno che ci rimandi sempre alle sorgenti dell’io e non che ci dica cosa dobbiamo fare, fosse anche la battaglia più bella in difesa dei valori più sacrosanti. È ciò che tanto io come i miei ammalati abbiamo pazientemente imparato quest’anno: Io e Gesù!
Tutto il resto – le opere, i soldi che non sono mai sufficienti… – è conseguenza. La stessa battaglia per la difesa della vita, non solo nel suo inizio ma, come nel mio caso, nel suo punto finale, non avrebbe senso senza la chiarezza delle origini, cioè del mio rapporto con Gesù.

“Te Deum laudamus” per non avere, con l’aiuto di chi mi vuole veramente bene, mai perso in quest’anno che giunge al suo termine la coscienza delle origini del mio Io: Io sono Tu che mi fai!


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